Il nuovo film di Domenico de Feudis, Il legame, da poco su Netflix, è un horror estremamente italiano, che vede protagonisti Riccardo Scamarcio, Mia Maestro e Giulia Patrignani. Dall’esoterismo perduto della Puglia nasce un horror magico, quanto inquietante, con cui abilmente il regista rappresenta alcune credenze popolari.

Il film si apre proprio con una schermata nera che ci vuole spiegare la nozione di Fascinazione, ripresa dall’opera Sud e Magia di Ernesto De Martino: “La fascinazione è una condizione psichica  di impedimento e di inibizione, e al tempo stesso un senso di dominazione, un essere agito da una forza altrettanto potente quanto occulta, che lascia senza margine l’autonomia della persona, la sua capacità di decisione e di scelta”.

È proprio su questa citazione che si basa l’intera trama del film. Quello che ci viene spiegato è che la fascinazione di cui si parla, è comunemente definita malocchio,  possibile tramite rituali magici occulti che stabiliscono IL LEGAME di sangue tra vittima ed esecutore. Nella pellicola di De Feudis il sud Italia diviene la perfetta ambientazione che permette l’emergere di sfumature horror e oscure. Il paesaggio meridionale diviene palcoscenico della superstizione, di misteriose credenze popolari, o del lato oscuro della cultura rurale. Molte delle pratiche magiche o rituali, così note nell’immaginario collettivo e nel gergo fantastico, hanno le loro origini nei miti e nelle tradizioni pagane e, di conseguenza, nella nostra storia: dai rimedi della nonna, che consistono nell’uso di aceto, bicarbonato, olio d’oliva o spezie come base per ogni ricetta a scopo di guarigione, passando per la creazione di veri e propri intrugli medici e la diffusione di amuleti protettivi costruiti con foglie e capelli, fino a pratiche terrificanti quali l’esorcismo o le punizioni corporali, atte a scacciare il male. È proprio grazie a queste se il sud gioca un grande ruolo nella costruzione moderna della fiaba dell’orrore italiana, incentrata sul forte vincolo con la propria terra, con la propria famiglia e con il proprio passato.

La componente fantastica – orrorifica, è percepibile durante tutto il film: dagli interni della grande casa isolata, fatta di stanze spoglie e in penombra, alle inquadrature di sterminati uliveti, dominati da alberi mastodontici e minacciosi. Considerate queste caratteristiche, è impossibile ignorare l’influenza di Garrone,  che con Il racconto dei racconti anziché riproporre le fiabe dei fratelli Grimm, ha spostato l’attenzione a Lo cunto de li cunti – raccolta di fiabe napoletane scritta da Basile – trovandovi elementi ancora più tetri e storie ancora più crude. Allo stesso modo la fiaba horror di Domenico de Feudis, usa le tradizioni del paese per realizzare un film di genere, con tonalità da thriller pregno di tensione, che aleggia in modo quasi naturale tra realtà e misticismo.