Avezzano (AQ) - Raccontare di un concerto di Francesco De Gregori, il mio artista per eccellenza, che si esibisce nella mia Avezzano e nel mio periodo dell'anno preferito, quello del Natale, vuol dire correre il rischio di essere di parte, fazioso e poco oggettivo. C'era, però, già abbastanza perbenismo rivestito per l'occasione in quella Cattedrale, quindi voglio essere del tutto sincero: probabilmente sarò di parte, fazioso e poco oggettivo, anche se proverò fino alla fine a non esserlo.
Arrivo al concerto un'ora prima dello spettacolo con la mia famiglia e qualche amico, ed i posti vicino all'artista sono, come uno avrebbe dovuto immaginare, già occupati da tempo; finiamo così abbastanza indietro, decisamente troppo lontani per leggere le espressioni che si disegnano sul volto di De Gregori ma, fortunatamente, abbastanza vicini ad un maxi-schermo che lo inquadra come se fosse a due passi da noi. Venti minuti di ringraziamenti al Comune, agli sponsor e via dicendo, quindi, finalmente, il Principe compare sul palco: un rapido "abbiamo preparato qualcosa di molto carino per voi" e si comincia.
De Gregori apre con "Vai in Africa, Celestino!", e la lascia scivolare in maniera leggermente più melodica e meno ritmata del solito; esattamente come un amico musicista al mio fianco mi ha anticipato sin dal pomeriggio, in una cattedrale il sound rischia di subire troppe variazioni, quindi l'unica soluzione possibile per rendere come se si fosse in sala-registrazione è buttarsi su versioni molto acustiche. "Vai in Africa, Celestino!" è recente, godibile e la conoscono più o meno tutti, cosa che non si può assolutamente dire della seconda canzone del repertorio: "Ti leggo nel pensiero". Sono ancora troppo emozionato per realizzare che De Gregori sta proprio cantando "…e chiedimi perdono per come sono, perché è così che mi hai voluto TU!" dentro una cattedrale, che la sua preghiera laica (PROFONDAMENTE laica, Dio!) più toccante sta guidando un concerto di Natale… eppure tant'è, e ditemi voi come si fa a non amare un uomo del genere. Sorrido e penso che, per fortuna, al di fuori di me, mia sorella e qualcun altro che ha approfondito parecchio, per tutti gli altri quella è solo una canzone d'amore poco chiara, e avanti così, con la bocca semiaperta ed il cuore praticamente in mano.
Tocca a Quattro Cani, quindi l'atmosfera inizia a scaldarsi e qualche nota conosciuta introduce "La leva calcistica della classe 68'". Giampietro, il mio amico seduto davanti, alza istintivamente gli occhi al cielo e sorride, ed è in quel momento che capisco di aver pensato la sua stessa identica cosa: io e Giamp non siamo calciatori veri, e se c'è una cosa certa al Mondo è proprio che non lo saremo mai, però i campi polverosi di cui parla "La leva calcistica" li conosciamo meglio di chiunque altro, come tutti i ragazzi che hanno passato l'adolescenza a sputare sogni e sudore dietro ad un pallone.
Il Principe continua sedendosi al pianoforte: "Santa Lucia", quindi "Viva l'Italia" e "L'abbigliamento di un fuochista", poi passa ad una delle mie preferite: "L'InFinito". Con "L'InFinito" entriamo in un campo minato, perché è una canzone che parla in modo sereno della morte, e tutto ciò è decisamente borderline se considerate, ancora una volta, che siamo ad un concerto di Natale in una cattedrale: forse è una mezza fortuna che quasi nessuno la conosca, e che quell' "ho avuto un poco di tristezza, ma poi nemmeno tanta" scivoli via nel silenzio assoluto della platea; vorrei far partire un applauso, perché io non dimentico quanti significati mi abbia regalato questa canzone in certi momenti difficili, ma per una volta è meglio tenere le mani in tasca.
"Natale", che poi sarebbe decisamente l'unica canzone adatta al tema del concerto, quindi un altro capolavoro: "Bellamore". "Bellamore" è un pezzo di cui parlerei per ore, è una poesia che, se hai amato almeno una volta nella vita, non puoi non sentire un po' tua, ed il messaggio che mando al mio amico seduto poco più avanti parla più di tutto quello che potrei raccontare: "Fra… sto tipo morendo!". L'emozione, purtroppo, non ferma il tempo, ed il concerto prosegue: De Gregori passa a "Stelius Alpinus", "Buonanotte Fiorellino", "Gambadilegno a Parigi" e "Vola vola vola" che, lo scopro proprio in diretta, ammette di aver arrangiato da una canzone popolare proprio di queste parti. Una signora di una certa età si alza ed applaude con più foga di tutti gli altri: immagino, e sono sicuro di non sbagliare, che l'originale di quella canzone abbia colorato più di una giornata dei suoi anni migliori.
"A pa'", "San Lorenzo", "Generale" (Vasco, IO TI ODIO per averla copiata e trasfigurata!), quindi il Principe presenta la band, e diventa plateale che ci si avvii verso la conclusione. "La Storia", che in fin dei conti ci sta tutta in questo momento socio-politico, e De Gregori finge di andare via.
Lo aspettiamo buoni cinque minuti, perché non esiste un suo concerto che si possa chiudere senza certi pezzi, quindi ricompare: "Alice", che senza la voce roca ed ingombrante di Ligabue (oh, Liga, io ti voglio bene e mi piaci, però…insomma, ad ognuno il suo!) è decisamente tutt'altra cosa, e poi "La Donna Cannone": è durante il ritornello che un uomo ed una donna sui sessanta davanti a me si stringono forte le mani, ed una smorfia a forma di sorriso compare sul mio volto ed incontra esattamente la stessa nel viso del mio amico Giampietro. Certe cose, boh, valle a spiegare… Scatto una foto di nascosto a quelle mani intrecciate e torno sul Principe. "Cose", che poi è l'ultima, e quelle parole che sanno di descrizione della vita di un po' tutti: "..come io e te che stiamo a guardare tutte queste cose PASSARE…".
De Gregori ringrazia ancora, fa un grande inchino e stavolta è davvero finita, lasciando il senso addosso di aver assistito a qualcosa che sarà difficile dimenticare e l'impressione di aver avuto davanti agli occhi, per una volta, un personaggio che merita DAVVERO il successo che ha, mentre oggi con la musica si identificano i Fedez, i Mengoni e i resti disincantati di Vasco Rossi, che a me stanno anche simpatici e sono godibili; questo, però, è Francesco De Gregori e, insomma, è proprio altro: che posso dirvi…