La sessione invernale di calciomercato volge al termine ed ancora una volta stiamo assistendo, tranne in rare occasioni, un risparmio (dovuto certamente al periodo storico-sociale che sta attraversando il settore calcistico) ed un cambio di rotta rispetto alle stagioni passate. I top team europei hanno, in maniera oculata, investito capitali non ingenti per cercare di non appesantire ulteriormente il passivo del loro stato patrimoniale.

Chi, però, ha un problema anche grosso da quel punto di vista è il Tottenham Hotspur del patron Levy. Quest'ultimo è socio del club, avendo alcune quote, ed è stato nominato presidente degli Spurs; sotto la sua legislazione i londinesi hanno messo sù uno degli impianti più innovativi del globo terrestre ma i problemi economici non derivano da questo bensì dal mero aspetto tecnico.

Nella voce "salari e stipendi" compaiono ben quattro allenatori: Josè Mourinho (attuale allenatore della Roma, i britannici versano nelle casse del portoghese 9 milioni di euro), Espirito Santo (8 milioni di euro, ma si libererebbe con una liquidazione di 14 milioni di euro), Ryan Mason (550 mila euro) ed Antonio Conte (17.5 milioni); sommando queste cifre si arriva a 35 milioni di euro. Tutto questo non fa che far riflettere sul concetto basilare di queste grandi compagini calcistiche, ovvero che il circolo virtuoso passa obbligatoriamente dall'aspetto agonistico (il core business delle squadre). I Lilywhites hanno, sì una delle proprietà più ricche del panorama, ma devono come tutte quante portare i risultati a casa. L'ultimo trofeo comparso da quelle parti risale alla stagione 2007/2008, quella finale di Carling Cup vinta a Wembley per 2 a 1 contro il Chelsea di Avram Grant. Dopo di quella coppa vinta hanno disputato altre 4 finali con risultati diametralmente opposti: la sconfitta.

Perdere significa non avere più quella visibilità e quel bacino d'utenza tale da permettere investimenti idonei all'approvvigionamento di una maggiore competitività che, di riflesso, può condurre nuovamente al successo. Conviene, dunque, aver provato a cambiare ben quattro tecnici per arrivare ad una quadra? La storia ed il futuro della società ci confermerà o meno la virtuosità di questa strategia aziendale.